La basilica di San Pietro in Vincoli è un luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, situato nel rione Monti, sul colle Oppio; è anche detta basilica Eudossiana dal nome della fondatrice, Licinia Eudossia, la stessa che chiamò a Roma i Vandali che la saccheggiarono nel 455, ed è nota soprattutto per ospitare la tomba di Giulio II con il celebre Mosè di Michelangelo Buonarroti. La basilica è una rettoria affidata dai canonici regolari della Congregazione del Santissimo Salvatore lateranense e su di essa insiste l’omonimo titolo cardinalizio.
La basilica fu fatta costruire nel 442, presso le Terme di Tito all’Esquilino, da Licinia Eudossia, figlia di Teodosio II e moglie di Valentiniano III sul luogo di un precedente culto cristiano indicato come titulus apostolorum.
Da esplorazioni archeologiche effettuate sotto l’attuale basilica è stata evidenziata l’esistenza di un intricato complesso urbanistico, databile tra il III secolo a.C. e il III secolo d.C., che sorgeva sulla sommità ovest del complesso detto della Domus Transitoria neroniana, abitazione romana composta di un cortile, un porticato con vasca, un criptoportico e giardini.
La domus è forse databile al IV secolo; successivamente fu costruita un’ampia aula absidata. Questo complesso fu in seguito demolito e nella seconda metà del IV secolo, sull’area fu costruita una spaziosa chiesa di tipo basilicale dedicata agli Apostoli di cui era titolare il Presbitero Filippo, Legato Pontificio nominato da papa Celestino I al Concilio di Efeso (431) il quale in uno scritto la cita con nome di Ecclesia Apostolorum. La chiesa andò distrutta per cause ignote, ma Filippo, con l’intervento di Licinia Eudossia, la fece ricostruire tra il 422 e il 470 mantenendone le medesime dimensioni (larga metri 28 e lunga metri 60 circa).
Secondo la tradizione Elia Eudocia, madre di Eudossia, durante un viaggio in Palestina nel 442, avrebbe avuto in dono da Giovenale Patriarca di Gerusalemme le catene che avrebbero avvinto San Pietro durante la prigionia subita a Gerusalemme, per ordine di Erode Agrippa. Elia Eudocia incaricò la figlia Licinia Eudossia di portarle a Roma.
La tradizione della Chiesa racconta che Licinia Eudossia mostrò le catene di Pietro a papa Leone I, che le avvicinò a quelle che furono di Pietro nel Carcere Mamertino. Le due catene si fusero in maniera irreversibile. A memoria del miracolo, fu fatta edificare la basilica che doveva conservarle.
In quegli anni, sia l’Impero sia il Papato erano in gravi difficoltà a causa delle continue scorribande di popolazioni barbare che forzavano i confini dell’impero, arrivando a minacciare anche Roma.
Il chiostro
Il miracolo della congiunzione delle catene, una proveniente da Oriente e una da Occidente, assunse così un grande significato simbolico e politico, dovevano dimostrare un forte legame tra i due imperi e forse una volontà mai realizzata di riunificazione, voluta e benedetta da Dio.
La consacrazione di una basilica ebbe luogo già nel 439 durante il pontificato di papa Sisto III. Successivamente subì molti restauri, i più importanti, fatti da Adriano I nel 780, da Sisto IV nel 1471 e da Giulio II nel 1503. Altri restauri furono eseguiti nel XVIII e XIX secolo.
Nella chiesa sarebbero stati nominati Giovanni II e Gregorio VII.
Al restauro di Giulio II risale l’architettura attuale della chiesa, con il portico d’ingresso, e la ristrutturazione del convento annesso. Il disegno originario del chiostro, che è stato recentemente restaurato (foto), è attribuito dal Vasari a Giuliano da Sangallo.
L’edificio del convento fu adibito, dopo l’unità d’Italia, a sede della Facoltà di Ingegneria della Sapienza. Il pozzo centrale, eseguito da Simone Mosca nel 1517, è decorato da mascheroni e inserito fra quattro colonne trabeate (il disegno è attribuito a Antonio da Sangallo il Giovane), è il simbolo della facoltà di Ingegneria. Sempre nel cortile, una fontana del 1642, dono del cardinale Antonio Barberini.