Chiesa di San Giorgio in Velabro

La chiesa di San Giorgio in Velabro è un luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, situato nel rione Ripa, in via del Velabro.

La chiesa, frutto dell’ampliamento del IX secolo di un precedente edificio diaconale, ed in seguito più volte rimaneggiata, sorge nei pressi del cosiddetto arco di Giano e immediatamente accanto all’arco degli Argentari, nella piazzetta della Cloaca Massima, non lontano dal luogo in cui la leggenda colloca il ritrovamento dei gemelli Romolo e Remo da parte della lupa.

La chiesa, che ricade nel territorio della parrocchia di Santa Maria in Portico in Campitelli, è una rettoria affidata all’ordine della Santa Croce, ed è sede della diaconia di San Giorgio in Velabro, fra i quali cardinali titolari sono annoverati i futuri pontefici Bonifacio IX (1381-1385) e Martino V (1406-1417), nonché il beato Pietro di Lussemburgo (1384-1387, pseudocardinale dell’antipapa Clemente VII) e san John Henry Newman (1879-1890). Essa è inoltre la chiesa stazionale del giovedì dopo le Ceneri, istituita tale da papa Gregorio II (715-731).

L’area originariamente paludosa del Velabro, dalla quale deriva l’appellativo della chiesa di San Giorgio nelle due varianti “in Velabro” e “al Velabro”, secondo l’etimologia proposta da Marco Terenzio Varrone nel De lingua Latina prenderebbe nome dal verbo vehere (“trasportare”) o velaturam facere (“traghettare”); in epoca medioevale la sua etimologia fu arbitrariamente cambiata in vellum aureum; nel 1259 è attestata la forma Vellaranum. La zona, che si estendeva a nord-ovest del Palatino ed era contigua al Foro Boario e al vicus Tuscus, sin dall’età repubblicana fu un importante luogo di commercio fino al VI secolo quando, forse in seguito alla grande alluvione del 589, acquisì una vocazione strettamente religiosa ed assistenziale. Nel XVI secolo la chiesa è stata nota come “San Giorgio alla fonte” per la vicinanza con la fonte di acqua minerale, situata nei pressi dell’arco di Giano, che da San Giorgio trae il suo nome.

Le origini della chiesa di San Giorgio non sono ben note. Il più antico documento nel quale si farebbe menzione di essa sarebbe l’Itinerario Salisburgense (620-640), nel quale viene citata una «basilica quæ appellatur sci. Georgii», identificabile con l’edificio preso in esame in quanto, secondo quanto affermato da Richard Krautheimer basandosi su quanto scritto da Christian Hülsen fino a tutto l’alto medioevo, sarebbe stato l’unico in città dedicato al megalomartire (l’agostiniano scalzo Federico di San Pietro, che nel XVIII secolo realizzò una pubblicazione su San Giorgio in Velabro, cita invece una lettera del 590 di Gregorio Magno all’abate Mariniano, riguardante anche una chiesa intitolata a San Giorgio e necessitante di restauri, che lui reputa essere situata in Roma mentre si trovava a Palermo); la precedente iscrizione sepolcrale proveniente dalle catacombe di San Callisto, di Augustus, lector «de Belabru» (datata al 461 o 482) potrebbe riferirsi al domicilio del defunto, oppure ad una qualsiasi chiesa del Velabro. La più antica menzione certa è stata identificata nella biografia di papa Zaccaria (741-752), nella quale si fa riferimento alla traslazione della testa del santo nella «venerabili diaconia eius nomini, sitam in regione secunda, ad Velum aureum» dal complesso lateranense ove era stata rinvenuta. L’intitolazione al martire sarebbe dovuta alla presenza nell’area, abitata da una fiorente colonia greca, di monaci orientali rifugiatisi a Roma per le persecuzioni iconoclaste e monotelite; san Giorgio, inoltre, «era patrono delle milizie bizantine di stanza nei pressi» del Foro Boario.

Quella di San Giorgio, fu una delle prime diaconie, istituite all’epoca di papa Gregorio Magno (590-604) come distaccamenti all’interno del centro abitato dell’«organizzazione centrale di assistenza» sorta nel V secolo all’interno del palazzo del Laterano, il quale all’epoca si trovava in un’area poco abitata. Nascendo come strutture caritative, non erano originariamente destinate al culto e solo in un secondo momento vennero affiancate da un oratorio; la stessa diaconia di San Giorgio sorse all’interno di «un preesistente edificio civile» (erroneamente identificato come la basilica Sempronia, che invece era localizzata nel Foro Romano) «successivamente adattato e trasformato nell’attuale chiesa», il cui nucleo più antico potrebbe risalire agli inizi del III secolo; è stata avanzata l’ipotesi che tale adeguamento sia avvenuto durante il pontificato di Leone II (682-683), indicato nel Liber Pontificalis come colui che avrebbe fondato presso il Velabro una chiesa dedicata ai santi martiri Sebastiano e Giorgio, passo che però secondo Louis Duchesne risulterebbe interpolato dopo il X secolo e dunque non del tutto attendibile. È probabile, come ricostruito da Krautheimer, che l’edificio si presentasse con una «facciata simile a quella di una casa privata», una serie di vani e una cappella absidata in posizione arretrata. Il complesso venne radicalmente restaurato sotto Gregorio IV (827-844), come riportato nel Liber Pontificalis, quando probabilmente venne integralmente convertito in luogo di culto con la realizzazione dell’abside, delle navate laterali, di una nuova sacrestia e della decorazione pittorica interna a fresco. Fu infatti in epoca carolingia che le diaconie, concentrate in particolar modo nell’area compresa tra la Ripa Græca e il Foro Romano, acquisirono un’articolazione costituita da tre componenti: una chiesa monumentale (in luogo del precedente oratorio di modeste dimensioni), un annesso cenobio ove risiedevano i monaci che prestavano servizio, e la diaconia vera e propria deputata alle funzioni assistenziali.

Nel XIII secolo vennero apportate importanti aggiunte alla chiesa, che era una collegiata officiata dal clero diocesano: all’inizio del secolo il priore Stefano Di Stella modificò la facciata facendo aprire il rosone e realizzare il portico (aggiunta, quest’ultima, operata nel secolo precedente in diverse chiese della città come Santi Giovanni e Paolo, San Lorenzo in Lucina e Santa Maria Maggiore), mentre è del 1259 la prima testimonianza scritta relativa al campanile; inoltre, nel 1296 o 1297 il cardinale diacono Giacomo Caetani Stefaneschi fece restaurare la chiesa. Tra il 1477 e il 1484 il cardinale Raffaele Sansoni Galeotti Riario fece rifare il tetto.

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