E’ aperta al pubblico la Cappella De Sylva a Sant’Isidoro progettata da Gianlorenzo Bernini, alla conclusione dei lavori di restauro compiuti dalla soprintendenza ai Beni artistici e storici di Roma, diretti da Angela Negro. E le sorprese non mancano. Sono tornate all’originario splendore le nudità marmoree delle due figure della Carità e della Verità, nell’altare di sinistra, che un’ondata punitiva di moralismo vittoriano, nel 1863, aveva castigato con vesti bronzee, fissate da piccoli perni, a celare i marmi, considerati troppo provocanti per quel luogo sacro.
Non solo. Ma il restauro ha permesso di rimuovere le ridipinture ottocentesche che nascondevano le nudità dei putti affrescati sulle pareti, oltre a risistemare il putto di marmo dell’altare maggiore, che a sinistra sostiene il quadro dell’Immacolata, del quale era stato scalpellato il sesso, coperto poi con un rudimentale panneggio in stucco. Così ripulita, la cappella, fatta costruire dal cavaliere portoghese Roderigo De Sylva negli anni 1662-63, diventa il tipico esempio del “bel composto” berniniano, frutto della fusione di affreschi, sculture, stucchi e marmi con il quale il genio del Barocco riesce a trasformare un piccolo spazio sepolcrale in uno scrigno prezioso e sontuoso.
In realtà, la Cappella De Sylva vanta uno strano destino. Anche se il nome del Bernini, come suo autore, appare in una delle iscrizioni, ed esistono a Lipsia i disegni preparatori del maestro, è stata sempre classificata come “opera di bottega”, perché, di fatto, gli interventi vennero eseguiti dai suoi collaboratori. Le Virtù marmoree sulle pareti furono scolpite dai fedeli collaboratori Giulio Cartari (Carità e Verità) e da Pietro Paolo Naldini (Pace e Giustizia), mentre gli affreschi sono firmati da Giacinto Gimignani, allievo di Pietro da Cortona, e la pala dell’Immacolata è stata eseguita da Carlo Maratta.
Le visite, ad ingresso libero, sono solo su prenotazione.